Il Verbo si fece uomo
Carissimi
Abbiamo iniziato un nuovo anno liturgico. La corona
dell’Avvento ci testimonia candela accesa, una
dopo l’altra le domeniche di Avvento, che presto
sarà Natale. Le luci che addobbano le nostre strade,
le nostre case e tutte le vetrine dei negozi possono
farci dimenticare che il Natale non è il panettone o
il tacchino o i regali sotto l’albero, ma è la venuta
del Figlio di Dio tra noi. E ci fanno correre il rischio
che festeggiamo senza il Festeggiato, il «regalo» del
Padre celeste a tutti gli uomini di buona volontà.
Mi è capitata tra le mani in questi giorni una meditazione
fatta tempo fa sul Natale dalla quale prendo
alcuni spunti per la nostra personale e comunitaria
riflessione:
«La paura e la speranza» è l’ultima di tre meditazioni
sul Natale pubblicate in Germania in una
raccolta a uso didattico sul rapporto tra dogma e
predicazione (Dogma und Verkündigung, München,
1973) e scritte tra il 1959 e il 1960 da JosephRatzinger.
«Le luci di Natale risplendono di nuovo nelle nostre
strade, l’‹operazione Natale› è in pieno svolgimento. Il
misterioso, antico messaggio del bambino che nacque
molto tempo fa a Betlemme ed è chiamato il redentore
del mondo: ‹Cristo, il salvatore, è qui!› Questo ci commuove;
eppure, i concetti che in quel momento udiamo
– ‹redenzione›, ‹peccato›, ‹salvezza› – suonano come
parole che ci giungono da un mondo lontano, da un
tempo ormai passato: forse era bello quel mondo, ma, in
ogni caso, non è più il nostro. O lo è invece?
Il mondo in cui sorse la festa di Natale era dominato da
un sentimento diffuso molto simile al nostro. Gli antichi
dei erano divenuti irreali: non esistevano più e gli
uomini non potevano più credere in quello che per generazioni
aveva dato senso alla loro vita… Ma l’uomo
non può vivere senza un senso, ne ha bisogno come del
pane quotidiano. E così, tramontati gli antichi astri,
egli dovette cercare nuove luci. Ma dov’erano?
Il 25 dicembre, al centro com’è dei giorni del solstizio
invernale, soleva essere commemorato annualmente
come il giorno natalizio della luce che si rigenera in
tutti i tramonti, garanzia radiosa che, in tutti i tramonti
delle luci caduche, la luce e la speranza del mondo
non vengono meno e che da tutti i tramonti si diparte
una strada che conduce a un nuovo inizio. Le liturgie
della religione del sole molto abilmente si erano così appropriate
di una paura e insieme di una speranza originarie
dell’uomo… L’uomo primitivo, che un tempo
avvertiva l’arrivo dell’inverno nel progressivo allungarsi
delle notti d’autunno e nel progressivo indebolirsi della
forza del sole, ogni volta si era chiesto pieno di paura:
‹Il sole dorato ora morirà? Ritornerà? O non sarà vinto
quest’anno (o in uno degli anni a venire) dalle forze
malvagie delle tenebre, tanto da non ritornare mai
più?› Sapere che ogni anno tornava un nuovo solstizio
d’inverno dava in fondo la certezza della sempre nuova
vittoria del sole, del suo certo, perpetuo ritorno… È la
festa in cui si compendia la speranza, anzi, la certezza
dell’indistruttibilità delle luci di questo mondo. Quest’epoca,
nella quale alcuni imperatori romani, con il culto
del sole invitto, cercarono di dare ai loro sudditi una
nuova fede, una nuova speranza, un nuovo senso in
mezzo all’inarrestabile crollo delle antiche divinità,
coincise col tempo in cui la fede cristiana tentò di guadagnare
il cuore dell’uomo greco-romano… Molto presto
i cristiani rivendicarono a sé il 25 dicembre, il giorno
natalizio della luce invitta, e lo celebrarono come il
giorno della nascita di Cristo, in cui essi avevano trovato
la vera luce del mondo. Certo, la paura primitiva
che il sole un giorno potrebbe scomparire ormai non ci
agita più: la fisica, col fresco soffio delle sue formule
chiare, l’ha scacciata da tempo. È vero, la paura primitiva
è passata, ma è anche scomparsa la paura in assoluto?
O l’uomo non continua forse a essere definito dal-
la paura, a tal punto che la filosofia di oggi indica la
paura proprio come ‹esistenziale fondamentale›
dell’uomo? … Quale epoca della storia dell’umanità ha,
più della nostra, sperimentato una paura maggiore di
fronte al proprio futuro? … Forse l’uomo di oggi si accanisce
così tanto nel presente solo perché non sopporta
di guardare negli occhi il futuro: il solo pensarvi
gli procura degli incubi. Abbiamo paura che il bene
nel mondo divenga impotente, che non abbia più senso
scegliere la verità, la purezza, la giustizia, l’amore, perché
ormai nel mondo vale la legge di chi meglio sa
farsi strada a gomitate, visto che il corso della storia
sembra dare ragione a chi è senza scrupoli e brutale,
non ai santi. E, d’altronde, non vediamo forse di
fronte ai nostri occhi dominare il denaro, la bomba atomica,
il cinismo di coloro per i quali non esiste più nulla
di sacro?
Domina la sensazione che le forze oscure aumentino,
che il bene sia impotente: ci assale più o meno quella
stessa sensazione che, un tempo, prendeva gli uomini
quando, in autunno e in inverno, il sole sembrava combattere
la sua battaglia decisiva: ‹La vincerà? Il bene
conserverà il suo senso e la sua forza nel mondo?›
Nella stalla di Betlemme ci è dato il segno che ci fa rispondere
lieti: ‹Sì.› Perché quel bambino, il Figlio unigenito
di Dio, è posto come segno e garanzia che, nella
storia del mondo, l’ultima parola spetta a Dio, proprio a
quel bambino lì, che è la verità e l’amore. È questo il senso
vero del Natale: è il ‹giorno di nascita della luce invitta›,
il solstizio d’inverno della storia del mondo che,
nell’andamento altalenante di questa nostra storia, ci
dà la certezza che anche qui la luce non morirà, ma ha
già in pugno la vittoria finale.»
A voi tutti un sereno e santo Natale.
Vostro Don Paolo